
Benvenuti alla parte 2 della nostra avventura. Per chi si fosse perso la parte 1 del mio racconto può trovarla cliccando QUI
Arrivati presso il piccolo aeroporto di Bora Bora, un’altra paura era quella che si fossero dimenticati di venirci a prendere.
Ve lo giuro ragazzi, nella mia mente io rimango sempre l’ultima delle ultime abituata ai B&B per i quali, a volte, per cercarli, si perdono ore ed ore controllando tutti i nomi sui campanelli.
E invece, ad attenderci, abbiamo trovato parte del personale del resort “Conrad Bora Bora Nui” che con un sorriso smagliante e rassicurante ci ha messo al collo due bellissime collane di fiori e ci ha mostrato l’imbarcazione che ci avrebbe portato al nostro alloggio.
Imbarcazione..si, era un enorme Yatch. Uno Yatch. Cioè io l’unico ricordo che ho di queste barche è quando da piccola sono andata a Saint Tropez con i miei genitori. Dal campeggio in cui alloggiavamo abbiamo preso una scialuppa in stile Titanic (mancavano solo i membri dell’orchestra che citassero appena dopo lo scontro con l’iceberg “è stato un piacere suonare con voi”) mentre lì sul molo, persone con troppi soldi per potermi stare simpatiche sorseggiavano champagne su queste loro case sull’acqua guardandoci come se fossimo gli ultimi pezzenti sulla terra.
Le sensazioni provate in quel momento, dicevo, sono state un qualcosa che non dimenticherò mai.
Allego foto della prima immagine che mi sono trovata davanti.
Inutile dire che di fronte ad uno spettacolo del genere, per un attimo mi sono sentita veramente fortunata, ricordo i miei occhi cosi colmi di gioia e di stupore da riuscire a stento a trattenere una lacrimuccia.
Un paradiso tropicale, un’avventura incredibile da vivere, il mio microfono (un sennheiser 935, CIAO SENNHEISER FACCE LA SPONSORIZZAZIONE!), Alessandro e la sua chitarra. Ehm no, scusate, la sua chitarra no.
Tranquilli non vi tengo sulle spine, è arrivata dopo 5 giorni, fortunatamente.
Non auguro veramente a nessuno di stare a stretto contatto con un chitarrista senza il suo strumento. E’ un episodio paragonabile ad un lutto. Ad una madre che perde sua figlia in una grande città. E’ una di quelle cose che anche il fatto di non usare la scusa del mal di testa ,in intimità, non aiuta comunque a risollevare gli animi.
E’ stato un momento difficile ma, fortunatamente, tutto si è risolto per il meglio.
Nei prossimi articoli invece vi racconterò di quanto Alessandro, al contrario, nel corso dei mesi, sarebbe stato disposto a vendere la sua bimba al Dio Nettuno piuttosto di non suonare ma questa è un’altra storia.
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